…in un primo istante tutto sembrava irreale, ero stato
spinto quasi a forza, avvolto in uno stato di semi incoscienza, per
giorni avevo atteso che arrivasse il momento, il giorno, l’ora di
questa partenza…affidavo una preghiera, un pensiero a chi avevo
lasciato…vedo ancora ora le loro lacrime e sento le mie rigarmi il
volto allo sfiorarmi del loro pensiero, al vedere impressa nei loro
sguardi la speranza accesa di potermi rivedere un giorno ritornare a
riscattare quella libertà di vita e di pensiero che ancora mi viene
negata…ho ancora nelle orecchie il suono, il sussurro i singhiozzi
sommessi di quello straziante addio…arrivederci, speranza di un nuovo
abbraccio.
Ecco ora sono seduto nel fondo di
questa carretta del mare, pressato, stipato come merce di scarso
valore, ammucchiata alla rinfusa, pezzo su pezzo, corpo su corpo, il
calore ora è insopportabile, il contatto è quasi consolazione, non sono
solo qui in questo angolo di inferno; alzo gli occhi e incrocio altri
occhi, occhi spenti, sbarrati, vuoti di speranza, ma pieni
determinazione, di ricordi, di addii, di lacrime represse e di sogni
ancora aperti…in altri scopro il terrore…per la prima volta qualcuno di
noi vede il mare, questa distesa d’acqua così inospitale, così simile
al deserto…per innumerevoli istanti questi occhi si legano ancora alla
terra, che lentamente si allontana all’orizzonte inghiottita dall’acqua
che via via diventa il tutto ciò che ci circonda….qualcuno non
sopporta il rollio della barca e si sporge dandosi a conati di vomito,
altri si stringono quasi a volersi scaldare, ora l’aria è più fredda,
non è più soggetta al vento caldo del deserto che ci ha tenuto in
grembo fino a qualche ora prima…prendo coscienza del fatto che vicino a
me c’è una donna, la osservo di nascosto, tiene tra le braccia un
bimbo, lo tiene in modo innaturale, la testa gli ciondola in una
posizione che nulla ha a che vedere con il sonno profondo, allora
risalgo verso gli occhi della donna, sono fissi avanti a se, vuoti,
spenti…in lei è completamente sparita qualsiasi speranza, la sua
espressione e il suo volto sembrano essere stati risucchiati di ogni
barlume di vita…allungo la mano verso il viso del
bambino…improvvisamente vengo rapito dal ricordo di mio figlio, della
sua pelle calda e morbida, del suo sorriso vivo, del suo sguardo vivace,
inconsapevole e innocente…sento una stretta al cuore, una morsa calda
che lentamente e con forza mi stritola l’anima…mi ridesto da questa
angoscia…la mia mano è posata sulla guancia di quel bambino…quello che
sento è un ghiaccio interiore…ma io il ghiaccio non l’ho neppure mai
visto, eppure in quell’istante ne sento tutto il freddo e la morte…quella
morte che ora mi invade e distrugge le mie speranze di giungere a
posare le mie mani in una nuova terra, cercando una nuova vita da
costruire e da amare...questo mio viaggio inizia con una morte, una
morte giovane, prematura, insensata...quale senso acquista un viaggio
che inizia con una morte? quale prospettiva e per quale futuro? In
quell’istante migliaia di domande iniarono a oltrepassarmi la mente,
crollavano i sogni e le certezze che fino a quel momento mi avevano
accompagnato gettandomi così brutalmente in quella realtà che era sempre
stata sotto i miei occhi ma che mi rifiutavo di vedere e di
accettare….poi sentii una stretta al braccio, guardai cosa stava
succedendo, una mano esile ma segnata dal continuo lavorare, mi
stringeva con la forza della supplica e della disperazione, alzai lo
sguardo incrociando quello della donna, che ora non era più spento, ma
ricolmo di terrore mi implorava di non parlare di non rivelare ciò che
avevo scoperto perché sarebbe stata la separazione più crudele, quella
non solo di perdere un figlio, ma anche quella di perderne per sempre la
consapevolezza di saperlo ritrovare anche sepolto in un luogo, in cui
poter posare un fiore, o una lacrima…mi persi dentro quello sguardo di
madre, dentro quelle emozioni e quelle disperazioni che le avevano
segnato per sempre la vita…presi delicatamente quella mano e la strinsi
in segno di consolazione, poi mi tolsi la logora coperta che qualcuno
mi aveva gettato addosso e la posai sopra il bimbo, per proteggerlo da
quegli sguardi, e dal freddo che mi attanagliava il cuore…poi abbassai
di nuovo lo sguardo e i miei occhi si riempirono di lacrime, calde
lacrime che scivolavano copiose sulle mie guance fino a cadere sulle mie
mani impotenti…impotenti di fronte ad eventi così grandi e devastanti,
lentamente caddi in un torpore senza sogni, cullato dalle onde ero
come svuotato, perduto, abbandonato a quel destino al quale ero stato
chiamato…
Mi svegliai, qualcuno
mi scuoteva con forza e mi chiamava, non con il mio nome, ma con quel
generico “alzati! Muoviti!” … in quella situazione avevo perso non solo
il nome, ma anche la mia identità, non sapevo più chi ero, cosa ero e
per cosa ero in quella barca…mi alzai, ma persi subito l’equilibrio,
l’imbarcazione era pericolosamente inclinata su un fianco, avevamo
sbattuto contro uno scoglio ed eravamo in balia del mare che vicino
alla costa si faceva più irrequieto… quando mi resi conto di ciò che
stava accadendo, le mie mani corsero alla ricerca della donna col suo
bambino, si era fatto buio e non riuscivo più a scorgere che un ammasso
informe di corpi che si muovevano, agitati, impauriti, stremati da una
nuova imminente sconfitta…provai a chiamare, ma non sapevo il suo
nome, così dovetti appellarmi anch’io ad un generico “donna”…fu in quel
momento che sentii la sua stretta sulla mia caviglia, stava carponi e
cercava di tenersi con una sola mano, con l’altra stringeva al petto il
corpicino esanime di suo figlio, anche in quella situazione continuava
ad aggrapparsi al suo unico affetto, a quell’unico amore che ancora le
restava…a ricordarle da dove veniva, quale era stata la sua vita, il
suo passato, a darle memoria che era una madre, una donna, piena della
sua forza, del suo coraggio, della sua speranza e della sua
determinazione di raggiungere quella meta che per me era diventata
miraggio…
Raccolsi allora quel
poco di me che ancora riconoscevo e la strinsi forte per non lasciarla
scivolare fuoribordo, ci aggrappammo entrambi con la tenacia che era
tipica della nostra terra, a quell’esile filo di speranza che ci
avrebbe condotto alla salvezza…non ricordo per quanto tempo rimanemmo
in stallo in quella posizione, quando mi svegliai ero in una stanza di
ospedale, non riconoscevo nessuno, non capivo la lingua, la luce ora
era accecante, mi dolevano le braccia, le mani e ogni fibra del mio
essere gridava…lentamente mi tornava alla memoria quello che era
successo, provai a chiedere in seguito dove fosse finita quella donna,
ma nessuno mai seppe dirmi qualche cosa…
Quando
oggi ricordo ancora l’accaduto, rivedo ancora il suo sguardo, così
forte e determinato, quello stesso sguardo che mi ha ricordato chi ero e
da dove venivo, ma soprattutto mi ricorderà sempre la mia dignità di
essere umano, e che una vita, un corpo, un amore deve sempre essere
rispettato e onorato…che la speranza non è di quelli che cercano di
infonderla, di quelli che ti tengono buoni e zitti con questa parola,
che non è nel pregare per confidare in un Dio o nella vita eterna, ma la
speranza è quella meta che voglio raggiungere, la speranza è la mia
determinazione per arrivare a quell'obbiettivo, essa è dentro di me,
risvegliata da quella donna e che tutt'ora mi tiene desto e pronto ad
affrontare il futuro...il mio futuro, la mia speranza sono IO!!!
E'unproblema di grandi dimensioni e necessita di grandi risposte di generosità.
RispondiEliminaSara, necessita sensibilità verso l'essere umano, e adesso ce n'è sempre meno, bisognerebbe mettersi nei panni di questi fratelli, immaginarsi le loro storie, le fatiche, le umiliazioni...forse così si potranno capire molte cose e i cuori si apriranno alla carità e all'amore.
RispondiEliminaHo inserito il Suo blog fa quelli che seguo. Il mio Blog si occupa di Mobbing.Anche io nel mio piccolo cerco di aiutare i più deboli.Se per caso visita il mio Blog mi farebbe piacere cosa ne pensa.
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