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martedì 3 gennaio 2012

VERSO QUALE META

…in un primo istante tutto sembrava irreale, ero stato spinto quasi a forza, avvolto in uno stato di semi incoscienza, per giorni avevo atteso che arrivasse il momento, il giorno, l’ora di questa partenza…affidavo una preghiera, un pensiero a chi avevo lasciato…vedo ancora ora le loro lacrime e sento le mie rigarmi il volto allo sfiorarmi del loro pensiero, al vedere impressa nei loro sguardi la speranza accesa di potermi rivedere un giorno ritornare a riscattare quella libertà di vita e di pensiero che ancora mi viene negata…ho ancora nelle orecchie il suono, il sussurro i singhiozzi sommessi di quello straziante addio…arrivederci, speranza di un nuovo abbraccio.
Ecco ora sono seduto nel fondo di questa carretta del mare, pressato, stipato come merce di scarso valore, ammucchiata alla rinfusa, pezzo su pezzo, corpo su corpo, il calore ora è insopportabile, il contatto è quasi consolazione, non sono solo qui in questo angolo di inferno; alzo gli occhi e incrocio altri occhi, occhi spenti, sbarrati, vuoti di speranza, ma pieni determinazione, di ricordi, di addii, di lacrime represse e di sogni ancora aperti…in altri scopro il terrore…per la prima volta qualcuno di noi vede il mare, questa distesa d’acqua così inospitale, così simile al deserto…per innumerevoli istanti questi occhi si legano ancora alla terra, che lentamente si allontana all’orizzonte inghiottita dall’acqua che via via diventa il tutto ciò che ci circonda….qualcuno non sopporta il rollio della barca e si sporge dandosi a conati di vomito, altri si stringono quasi a volersi scaldare, ora l’aria è più fredda, non è più soggetta al vento caldo del deserto che ci ha tenuto in grembo fino a qualche ora prima…prendo coscienza del fatto che vicino a me c’è una donna, la osservo di nascosto, tiene tra le braccia un bimbo, lo tiene in modo innaturale, la testa gli ciondola in una posizione che nulla ha a che vedere con il sonno profondo, allora risalgo verso gli occhi della donna, sono fissi avanti a se, vuoti, spenti…in lei è completamente sparita qualsiasi speranza, la sua espressione e il suo volto sembrano essere stati risucchiati di ogni barlume di vita…allungo la mano verso il viso del bambino…improvvisamente vengo rapito dal ricordo di mio figlio, della sua pelle calda e morbida, del suo sorriso vivo, del suo sguardo vivace, inconsapevole e innocente…sento una stretta al cuore, una morsa calda che lentamente e con forza mi stritola l’anima…mi ridesto da questa angoscia…la mia mano è posata sulla guancia di quel bambino…quello che sento è un ghiaccio interiore…ma io il ghiaccio non l’ho neppure mai visto, eppure in quell’istante ne sento tutto il freddo e la morte…quella morte che ora mi invade e distrugge le mie speranze di giungere a posare le mie mani in una nuova terra, cercando una nuova vita da costruire e da amare...questo mio viaggio inizia con una morte, una morte giovane, prematura, insensata...quale senso acquista un viaggio che inizia con una morte? quale prospettiva e per quale futuro? In quell’istante migliaia di domande iniarono a oltrepassarmi la mente, crollavano i sogni e le certezze che fino a quel momento mi avevano accompagnato gettandomi così brutalmente in quella realtà che era sempre stata sotto i miei occhi ma che mi rifiutavo di vedere e di accettare….poi sentii una stretta al braccio, guardai cosa stava succedendo, una mano esile ma segnata dal continuo lavorare, mi stringeva con la forza della supplica e della disperazione, alzai lo sguardo incrociando quello della donna, che ora non era più spento, ma ricolmo di terrore mi implorava di non parlare di non rivelare ciò che avevo scoperto perché sarebbe stata la separazione più crudele, quella non solo di perdere un figlio, ma anche quella di perderne per sempre la consapevolezza di saperlo ritrovare anche sepolto in un luogo, in cui poter posare un fiore, o una lacrima…mi persi dentro quello sguardo di madre, dentro quelle emozioni e quelle disperazioni che le avevano segnato per sempre la vita…presi delicatamente quella mano e la strinsi in segno di consolazione, poi mi tolsi la logora coperta che qualcuno mi aveva gettato addosso e la posai sopra il bimbo, per proteggerlo da quegli sguardi, e dal freddo che mi attanagliava il cuore…poi abbassai di nuovo lo sguardo e i miei occhi si riempirono di lacrime, calde lacrime che scivolavano copiose sulle mie guance fino a cadere sulle mie mani impotenti…impotenti di fronte ad eventi così grandi e devastanti, lentamente caddi in un torpore senza sogni, cullato dalle onde ero come svuotato, perduto, abbandonato a quel destino al quale ero stato chiamato…
Mi svegliai, qualcuno mi scuoteva con forza e mi chiamava, non con il mio nome, ma con quel generico “alzati! Muoviti!” … in quella situazione avevo perso non solo il nome, ma anche la mia identità, non sapevo più chi ero, cosa ero e per cosa ero in quella barca…mi alzai, ma persi subito l’equilibrio, l’imbarcazione era pericolosamente inclinata su un fianco, avevamo sbattuto contro uno scoglio ed eravamo in balia del mare che vicino alla costa si faceva più irrequieto… quando mi resi conto di ciò che stava accadendo, le mie mani corsero alla ricerca della donna col suo bambino, si era fatto buio e non riuscivo più a scorgere che un ammasso informe di corpi che si muovevano, agitati, impauriti, stremati da una nuova imminente sconfitta…provai a chiamare, ma non sapevo il suo nome, così dovetti appellarmi anch’io ad un generico “donna”…fu in quel momento che sentii la sua stretta sulla mia caviglia, stava carponi e cercava di tenersi con una sola mano, con l’altra stringeva al petto il corpicino esanime di suo figlio, anche in quella situazione continuava ad aggrapparsi al suo unico affetto, a quell’unico amore che ancora le restava…a ricordarle da dove veniva, quale era stata la sua vita, il suo passato, a darle memoria che era una madre, una donna, piena della sua forza, del suo coraggio, della sua speranza e della sua determinazione di raggiungere quella meta che per me era diventata miraggio…
Raccolsi allora quel poco di me che ancora riconoscevo e la strinsi forte per non lasciarla scivolare fuoribordo, ci aggrappammo entrambi con la tenacia che era tipica della nostra terra, a quell’esile filo di speranza che ci avrebbe condotto alla salvezza…non ricordo per quanto tempo rimanemmo in stallo in quella posizione, quando mi svegliai ero in una stanza di ospedale, non riconoscevo nessuno, non capivo la lingua, la luce ora era accecante, mi dolevano le braccia, le mani e ogni fibra del mio essere gridava…lentamente mi tornava alla memoria quello che era successo, provai a chiedere in seguito dove fosse finita quella donna, ma nessuno mai seppe dirmi qualche cosa…
Quando oggi ricordo ancora l’accaduto, rivedo ancora il suo sguardo, così forte e determinato, quello stesso sguardo che mi ha ricordato chi ero e da dove venivo, ma soprattutto mi ricorderà sempre la mia dignità di essere umano, e che una vita, un corpo, un amore deve sempre essere rispettato e onorato…che la speranza non è di quelli che cercano di infonderla, di quelli che ti tengono buoni e zitti con questa parola, che non è nel pregare per confidare in un Dio o nella vita eterna, ma la speranza è quella meta che voglio raggiungere, la speranza è la mia determinazione per arrivare a quell'obbiettivo, essa è dentro di me, risvegliata da quella donna e che tutt'ora mi tiene desto e pronto ad affrontare il futuro...il mio futuro, la mia speranza sono IO!!!

3 commenti:

  1. E'unproblema di grandi dimensioni e necessita di grandi risposte di generosità.

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  2. Sara, necessita sensibilità verso l'essere umano, e adesso ce n'è sempre meno, bisognerebbe mettersi nei panni di questi fratelli, immaginarsi le loro storie, le fatiche, le umiliazioni...forse così si potranno capire molte cose e i cuori si apriranno alla carità e all'amore.

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  3. Ho inserito il Suo blog fa quelli che seguo. Il mio Blog si occupa di Mobbing.Anche io nel mio piccolo cerco di aiutare i più deboli.Se per caso visita il mio Blog mi farebbe piacere cosa ne pensa.

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sono graditissime impressioni e commenti