Sono le 5,30 e sono sulla spiaggia, il cielo è nettamente limpido,
ancora puntellato di flebili bagliori di stelle verso nord, dove ancora
la notte lascia il suo strascico di blu mentre l’alba si guadagna
passo, passo il suo spazio. L’aria è frizzante dopo la burrasca del
giorno precedente, tanto da costringermi a indossare un pile; ma trova
comunque modo di avvolgere le sue spirali sulla mia pelle, passando da
microscopiche fessure concesse dagli abiti, allunga i suoi tentacoli
freddi, accarezza e dispensa brividi schietti e improvvisi.
Impercettibilmente la luce cambia in pochi istanti si scioglie come
tempera nell’acqua l’azzurro, in un amalgama di caldi colori e riflessi
elargiti da un sole nascente, ma ancora nascosto tra le pieghe di alberi
e strisce di terra riversandosi lento nella calma piatta e silenziosa
della risacca ancora insonnolita e nel suo respiro ritmico formato da
lievi increspature che avanzano fin ad adagiarsi sulla battigia. Si
destano i gabbiani, posati a gruppi sulla spiaggia, qualcuno spicca un
volo, plana lento a pelo d’acqua, cerca tra i flutti un pesciolino, si
tuffa lo pesca poi con un battito d’ali di nuovo in volo. Ormai il sole è
sorto e la magia dell’alba finita, dissolta in pochi minuti. Si
accorciano allungati coni d’ombra formati da fitte onde di sabbia
accarezzata dal vento, ombre che somigliano a tanti pensieri scuri densi
di affanni di un giorno che viene, e sento ancora il freddo, ancora
l’intricata ragnatela in cui mi ha lentamente imprigionato, mi è entrato
scorrendomi nelle vene, bloccandomi quasi i movimenti. Allora mi
abbandono a un nuovo abbraccio, a quel sole che allunga le sue dita
sulla mia pelle donandomi quasi un lieve torpore simile all’abbraccio
di una mamma, caldo e rassicurante. Per qualche minuto ancora mi lascio
cullare da quella sensazione, poi decisa mi alzo e cammino a passo
svelto verso quella palla colorata di rosso che si staglia nel cielo.
Sotto i piedi un’accozzaglia di frammenti, scricchiolano come brina
sull’erba nelle gelide mattine invernali. Cocci di vita spenta giacciono
ammucchiati dalla foga delle onde, … io non sono tra questi, ne sono
stata travolta, ma non abbattuta … sono e mi sento viva ancora nella
profondità delle acque, nel mio mare chiuso che ancora mi protegge e
placido mi culla, amorevole padre. Rompe l’idillio silenzioso il battito
dei remi di una pagaia che si sposta veloce, spinta dal ritmico
movimento di braccia, si perde come bruciata nei riflessi di sole
allungati come lingue di fuoco, incendiano la superficie. Al suo
passaggio una fila ordinata di gabbiani si scompiglia verso il cielo,
tuffandosi nell’aria tra le risate e i loro echi stonati. Rido
contagiata da tanta meravigliosa semplicità, mentre ancora dentro il
cuore, mi rode e mi arde un piccolo fuoco celato sotto la cenere di un
falò notturno che ancora rilascia una debole fluttuante scia di fumo
sottile, e si disperde nella brezza come disperdo il mio io nel vivere
quotidiano …
Nessun commento:
Posta un commento
sono graditissime impressioni e commenti