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lunedì 3 settembre 2012

AMANDO L'ALBA (25 agosto 2012)

Sono le 5,30 e sono sulla spiaggia, il cielo è nettamente limpido, ancora puntellato di flebili bagliori di stelle verso nord, dove ancora la notte lascia  il suo strascico di blu mentre l’alba si guadagna passo, passo il suo spazio. L’aria è frizzante dopo la burrasca del giorno precedente, tanto da costringermi a indossare un pile; ma trova comunque modo di avvolgere le sue spirali sulla mia pelle,  passando da microscopiche fessure concesse dagli abiti, allunga i suoi tentacoli freddi, accarezza e dispensa brividi schietti e improvvisi. Impercettibilmente la luce cambia in pochi istanti si scioglie come tempera nell’acqua l’azzurro, in un amalgama di caldi colori e riflessi elargiti da un sole nascente, ma ancora nascosto tra le pieghe di alberi e strisce di terra riversandosi lento nella calma piatta e silenziosa della risacca ancora insonnolita e nel suo respiro ritmico formato da lievi increspature che avanzano fin ad adagiarsi sulla battigia. Si destano i gabbiani, posati a gruppi sulla spiaggia, qualcuno spicca un volo, plana lento a pelo d’acqua, cerca tra i flutti un pesciolino, si tuffa lo pesca poi con un battito d’ali di nuovo in volo. Ormai il sole è sorto e la magia dell’alba finita, dissolta in pochi minuti. Si accorciano allungati coni d’ombra formati da fitte onde di sabbia accarezzata dal vento, ombre che somigliano a tanti pensieri scuri densi di affanni di un giorno che viene, e sento ancora il freddo, ancora l’intricata ragnatela in cui mi ha lentamente imprigionato, mi è entrato scorrendomi nelle vene, bloccandomi quasi i movimenti. Allora mi abbandono a un nuovo abbraccio, a quel sole che allunga le sue dita sulla mia pelle donandomi quasi un lieve torpore simile all’abbraccio  di una mamma, caldo e rassicurante. Per qualche minuto ancora mi lascio cullare da quella sensazione, poi decisa mi alzo e cammino a passo svelto verso quella palla colorata di rosso che si staglia nel cielo. Sotto i piedi un’accozzaglia di frammenti, scricchiolano come brina sull’erba nelle gelide mattine invernali. Cocci di vita spenta giacciono ammucchiati dalla foga delle onde, … io non sono tra questi, ne sono stata travolta, ma non abbattuta … sono e mi sento viva ancora nella profondità delle acque, nel mio mare chiuso che ancora mi protegge e placido mi culla, amorevole padre. Rompe l’idillio silenzioso il battito dei remi di una pagaia che si sposta veloce, spinta dal ritmico movimento di braccia, si perde come bruciata nei riflessi di sole allungati come lingue di fuoco, incendiano la superficie. Al suo passaggio una fila ordinata di gabbiani si scompiglia verso il cielo, tuffandosi nell’aria tra le risate e i loro echi stonati. Rido contagiata da tanta meravigliosa semplicità, mentre ancora dentro il cuore, mi rode e mi arde un piccolo fuoco celato sotto la cenere di un falò notturno che ancora rilascia una debole fluttuante scia di fumo sottile, e si disperde nella brezza  come disperdo il mio io nel vivere quotidiano …

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